Nella pittura di Frederika de Vierno, riflesso di una biografia a cavallo tra Roma e gli Stati Uniti, convivono felicemente attitudini all’apparenza distanti.
Radici profonde e tenaci, germogliate nel periodo della formazione accademica e rimaste all’opera, impegnate in un lavorio sotto pelle, anche nei periodi in cui le contingenze l’hanno allontanata dai pennelli.
Guardare i lavori di Frederika oggi, nel suo appartamento romano, significa abbracciare con lo sguardo una teoria di immagini che raccontato un percorso lungo oltre trent’anni, che dice di un’evoluzione personale e artistica all’interno della quale si scorgono coerenza e integrità, così come una cifra stilistica netta e riconoscibile.
Il cuore di Frederika pulsa al ritmo delle albe azzurre e dei tramonti rossi di Roma, il suo sguardo indugia sulle sue piazze, sulle fontane e le architetture possenti, mentre la mano impasta il colore e affronta la tela come quella degli artisti anglosassoni che hanno segnato la pittura occidentale del Novecento.
Sulle tele grezze, bagnate e poi trattate, le pennellate spianano con facilità spazi aperti sui quali si stagliano di forma di volta in volta edifici e piazze o si posizionano le figure che hanno attraversato la vita di Frederika.
Sir Lawrence Gowing, suo mentore alla Slade School of Fine Arts, ha definito la sua pratica “stain painting”: la scelta di una tavolozza brillante, sulla quale le tinte vengono individuate per affinità quasi spirituale e poi applicate in maniera istintiva sulla tela, portano al grande Espressionismo Astratto americano, alle tele delicate e allo stesso tempo spregiudicate di Helen Frankenthaler.
La lettura dello spazio, invece, è tutta italiana e si colloca nel solco di una tradizione illustre che ha visto gli artisti mettersi al centro del mondo e inventare la prospettiva ottica rinascimentale, per arrivare, con un ardito balzo temporale che attraversa i secoli, alla rivoluzione ugualmente fondamentale dello Spazialismo che squarcia le tele di Lucio Fontana.
Nei lavori della De Vierno sono infrequenti i viaggi lirici all’interno del sé, ciò che emerge con vigore è piuttosto la rilevanza del rapporto con lo spazio, sia esso quello di una piccola cucina inglese, una piazza trasteverina o lo skyline di New York.
Qui la profondità nasce dall’alternanza tra i vuoti e i pieni delle architetture e la solidità stentorea delle figure è costruita pennellata su pennellata, mentre al centro dell’opera si colloca l’interpretazione — intrapresa nel tentativo di analizzare e insieme celebrarne gioiosamente la visione — di ciò che si trova fuori di sé, davanti ai propri occhi. Il punto di partenza sono spesso le foto, le pagine a volte sbiadite di un album di ricordi personali.
Questo è il canovaccio dal quale l’artista parte per stimolare una visione, restituita poi tramite il filtro della memoria, dell’affetto e della suggestione. Come nel ritratto del padre del 1985, uno dei lavori più precoci, nel quale la silhouette maschile è sintetizzata con pochi tratti — più esattamente vere e proprie macchie di colore — in grado di ritagliarne una presenza solida e risoluta ma al tempo stesso quasi evanescente.
Quasi come se la figlia non potesse, o non volesse, fissare con fermezza i tratti e il carattere del padre, ma preferisse tratteggiarne con delicatezza l’essenza, giustapponendola, con colpi e macchie di colore, al volume delle pareti.
Uno spazio cubitale che appare ancora più concluso in Kitchen window: poche direttive spaziali, precise e inquadrate, che lasciano il campo alla definizione di un’immagine estremamente aderente al reale, ma al contempo astratta nella sua secchezza.
Negli anni successivi, come ci si aspetta da una giovane donna che matura, lo sguardo di Frederika si amplifica, passando dal racconto degli spazi domestici — teatro intimo e raccolto di una biografia personale — a quello delle vedute ampie e sature di colore delle grandi città del mondo.
I palazzi che si stringono attorno a Piazza Navona sono quinte cromatiche che assistono al passaggio mattiniero di un camion, i cornicioni centenari di Santa Maria in Trastevere splendono della luce arancione del mezzogiorno, mentre la fontana del Tritone sembra sciogliersi su se stessa in un liquefarsi di acqua e colore.
Solo New York, a migliaia di chilometri di distanza dalla luce romana, è ritratta di notte, con filamenti cromatici che riprendono i colori fluorescenti che hanno abbagliato per primi gli artisti Pop.
Oggi la pittura di Frederika è più consapevole, è capace di bastare a se stessa. Ormai libera dagli esercizi formali che a volte l’hanno accompagnata lungo i guizzi delle sue fontane barocche, mira al gusto del colore e alla facile definizione della forma.
Le pennellate sono meno nervose, le stesure più piene, e tutto concorre alla creazione di uno spazio più plastico e organico. Come i pigmenti impastati che utilizza, il colore squilla di una qualità umida, bagnata della stessa luminosità accecante delle estati romane.
Se una tendenza si può rinvenire nel suo percorso di crescita tecnica e formale è quella sempre più sintetica e astrattiva, in un viaggio verso l’immersione totale in quei rosa e gialli che hanno affascinato tutti gli artisti che nei secoli hanno avuto la fortuna di misurarsi con Roma.
Carolina Pozzi
Frederika de Vierno è nata a Roma nel 1962, da padre americano e madre italiana. Ha conseguito il diploma di scuola superiore presso la Scuola Internazionale di Roma.
Nel 1981 è stata ammessa alla prestigiosa accademia d’arte inglese “Slade School of Fine Arts” dell’University College di Londra, laureandosi con lode nel 1985. Ha studiato sotto la direzione del famoso critico d’arte Sir Laurence Gowing, curatore di importanti mostre tra le quali quelle di Cezanne e Matisse a Parigi e con importanti artisti inglesi come John Hoyland, Michael Moon, Bruce Mc Lean ed altri.
Le sue opere sono presenti in numerose collezioni private internazionali: New York, Washington D.C., Boston, New Orleans, San Diego, Londra, Parigi, Ginevra, Milano, Roma, Lima, Melbourne, Wellington ed altre.
De Vierno attualmente vive a Roma.
Note for painting “Man in Car”:
“Man and Car” watercolour on canvas, (84 x 163 cm) 1985. Citato nell’articolo di Marella Caracciolo. “Hanging Judge.” The World of Interiors, Marzo 2015: p. 101.
Citato in un articolo di Marella Caracciolo su “Ville e Giardini.” Giugno 2007 p. 99.
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Frederika de Vierno
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